Cop15, ultima chance per salvare le biodiversità.

Cop15 Montréal
Thanks to UN Biodiversity

Si è conclusa a Montréal il 19 dicembre, la quindicesima Conferenza delle parti della Convenzione sulla diversità biologica, o biodiversità, (Cbd) delle Nazioni Unite. Presieduta dal ministro dell’ecologia e dell’ambiente cinese Huang Runqiu, ha visto la partecipazione per due settimane di 196 parti. Tra queste, i governi che hanno firmato e ratificato la Convenzione sulla diversità biologica, ma anche le comunità locali, le aziende, le comunità indigene e i privati di tutte le età. Fanno parte della Conferenza quasi tutti i Paesi tranne gli Stati Uniti e il Vaticano.

Cop15 vs Cop27

Ovviamente non sono la stessa cosa. La Cop27 tenutasi lo scorso novembre a Sharm el-Sheikh riguardava nello specifico i cambiamenti climatici. Questa invece ruota interamente attorno al tema delle biodiversità, considerata un perno per la tutela di un ecosistema in salute. Questa quindicesima conferenza pone in essere nuovi obiettivi. Ogni dieci anni, infatti, la Cop sulle biodiversità fissa dei target. Duole sottolineare come nessuno degli obiettivi fissati nella Cop10 a Nagoya in Giappone, siano stati rispettati o raggiunti. Questo dovrebbe bastare per intuire quale forte impronta debba invece lasciare la Cop15, che ha tutte le sembianze di una chiamata finale per salvare gli ecosistemi, ridotti all’estinzione. Ad oggi infatti un milione di specie animali e vegetali è a rischio di estinzione. Il rapporto Ipbes (Intergovernmental science-policy platform on biodiversity and ecosystem services) ha rilevato che i tre quarti degli ambienti terrestri e circa il 66 per cento degli ambienti marini sono stati alterati significativamente dalle azioni dell’uomo. Fra le principali cause dei mutamenti dell’ecosistema c’è il cambiamento climatico provocato dall’azione umana. Questo spiega perché le due conferenze siano così interconnesse.

Un accordo storico

Alla Cop15 i paesi hanno concordato nell’estendere al 30% del territorio e dei mari entro il 2030 lo status di area protetta. È stato alzato al 30 percento il numero di ecosistemi degradati da risanare. Non solo. Esattamente come nel caso della Cop27, è stata sottolineata la necessità di stanziare un fondo da parte dei paesi più ricchi per aiutare i paesi in via di sviluppo nella tutela degli ecosistemi. Il fondo sarà di 30 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2030. L’accordo si è occupato inoltre della necessità di ridurre del 50 percento i rischi legati ai pesticidi. Una conquista su tutta la linea da parte degli studiosi che avevano chiesto non tanto di basarsi sui quantitativi adoperati, quanto appunto sui rischi.

Tutti i punti deboli dell’accordo

Anzitutto il primo che balza agli occhi riguarda la mancata istituzione di un meccanismo di controllo sulle misure prefissate, che ha già reso inutili tutti gli accordi presi nell’ambito della Cop10 in Giappone. Il secondo punto debole riguarda il consumo di carne. Doppiamente grave se si considera il permesso accordato di recente dal governo americano per la produzione della carne coltivata, che ne sancisce quindi bontà per l’uomo e per l’ambiente. Non è stata sottolineata pertanto la necessità di adattare lo stile di vita del singolo, ivi inclusa la dieta alimentare, a un’eco sistema al collasso.   

Per approfondire:

  1. COP27, quanto vale il clima in tempi di guerra?
  2. Il futuro delle start up è sempre più verde.
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Team The Greenest

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