Il significato profondo del cambiamento climatico.

Katharine Hayhoe è una scienziata specializzata in fisica dell’atmosfera la cui ricerca si concentra sulla comprensione del significato profondo del cambiamento climatico per le persone e i luoghi in cui viviamo. In questa illuminante intervista mostra la fallacia della percezione del cambiamento climatico negli esseri umani. Una percezione del pericolo passata da un livello “trascurabile” a uno pauroso e paralizzante in pochi anni. In ambo i casi però rimane improduttiva ai fini di un cambiamento reale. Per questo il pensiero di scienziate come la Hayhoe è basilare per capire come agire e iniziare a farlo nel modo giusto, senza paura. Superando allarmismi comunicativi e arrivando a interpellare quegli istinti nell’uomo come la sopravvivenza, che sono una miccia per il progresso. Katharine Hayhoe è inoltre professoressa alla Texas Tech University,  è stata nominata una delle 100 persone più influenti del TIME e i 50 leader più importanti del mondo di Fortune. Nel settembre 2019, le Nazioni Unite le hanno conferito il titolo di “Champion of the Earth”.

Spesso, fede e scienza vengono pensati come elementi in contrapposizione. In un suo recente editoriale sul New York Times lei smentisce quest’idea. Perché questo è importante, in relazione anche al cambiamento climatico?

La scienza è come una mappa. Ci fornisce elementi geografici, ci indica dove si trovano le città, le montagne, i fiumi. Ma come fai a sapere qual è la strada giusta da percorrere? Il modo corretto di percorrerla dipende dal cuore di ognuno. Qual è la decisione giusta da prendere? Per la maggior parte della popolazione mondiale –  oltre l’85 percento appartiene a una religione o a un credo- i valori provengono per buona parte dalla fede. Quindi, rispetto al cambiamento climatico, la scienza può dirci che il clima sta cambiando, che gli umani sono responsabili, gli impatti sono gravi e diventano più pericolosi quanto più carbonio produciamo. Ma la scienza non può dirci qual è la soluzione giusta. La soluzione giusta ha a che fare con ciò che apprezziamo, ciò che riteniamo importante, ciò che riteniamo giusto, ciò che riteniamo morale o etico. E per molti di noi quel senso di ciò che è giusto viene proprio dalla nostra fede.

Di recente è stata pubblicata un’importante review condotta su 11.000 paper pubblicati nei primi 7 mesi del 2019, nella quale si afferma che la scienza è finalmente concorde al 100% sulle cause antropogeniche del cambiamento climatico. Sappiamo però, letteratura alla mano, che il consenso scientifico non è un elemento sufficiente perché si produca poi un’azione sociale. Secondo lei, questo studio potrebbe produrre effetti positivi?

Anni fa, con il mio team, abbiamo effettuato un’importante review che aveva evidenziato la presenza di 38 paper che rifiutavano l’idea di un’origine antropica del cambiamento climatico. Abbiamo preso questi studi e li abbiamo analizzati in dettaglio, scoprendo che in ognuno c’era almeno un errore, o di origine matematica, per un’ipotesi di partenza sbagliata o per non aver considerato fattori che avrebbero dovuto esser inclusi nello studio. Difficilmente, studi di questo tipo risultano essere davvero consistenti.

In un importante Ted Talk lei ha chiarito che è fondamentale parlare del cambiamenti climatici. Nell’ultimo anno, le conversazioni sul tema si sono moltiplicate. Per lei se ne sta parlando nel mondo giusto? Cosa dovrebbe essere eventualmente corretto?

La crescita del dibattito relativo al cambiamento climatico si deve principalmente a due motivi: l’attivismo sociale e la nascita di movimenti quali Extinction Ribellion e Friday for the Future, e l’aumento del numero dei disastri naturali a cui assistiamo. Il cambiamento climatico è un moltiplicatore di minacce, abbraccia le catastrofi naturali e le peggiora, e con esse ha aumentato del 25% il divario tra ricchi e poveri del mondo. Quello che possiamo osservare nei titoli dei giornali in tutto il mondo è la paura. Ciò che la ricerca mostra in tal senso è che non possiamo, come esseri umani, sostenere la paura a lungo termine. Se subiamo stati di paura e ansia per un tempo prolungato, il nostro meccanismo di difesa può essere solo quello della dissociazione.  La paura ha avuto l’effetto di aumentare almeno in parte la consapevolezza generale, ma ciò di cui abbiamo bisogno ora è che le persone comprendano che esistono soluzioni pratiche, positive e realistiche. Perché senza capire che possiamo essere parte attiva della risoluzione del problema, dispereremo. E se dispereremo saremo una profezia che si auto avvera; quindi, dobbiamo parlare di soluzioni individuali, per le nostre città, per la nostre comunità, la nostre organizzazioni, la nostra università, la nostra chiesa, il nostro paese e il mondo per dimostrare che, sì, possiamo davvero farlo perché senza soluzioni non abbiamo possibilità di risolvere il problema.

Parlando invece della pubblica amministrazione, che ha la possibilità di agire su scala locale e a un elevato livello di vicinanza col cittadino, quale dovrebbe essere la comunicazione messa in atto? È un tema su cui si discute ancora poco, qual è la sua opinione a questo riguardo?

C’è pochissima letteratura scientifica nel settore sulla pubblica amministrazione e sugli impatti dei cambiamenti climatici. È importante però sottolineare che le città, e le regioni e gli stati sono le entità più importanti nell’adattarsi ai cambiamenti climatici, nella costruzione della resilienza e nella preparazione agli impatti, perché è necessario farlo a livello locale. Non è possibile sviluppare misure su larga scala, perché gli impatti dipendono da dove sei e da dove vivi. La buona notizia è che alcune città stanno costruendo delle reti, tra cui la Mayors ‘Climate Alliance, una rete internazionale di sindaci da tutto il mondo, il Rockefeller 100 Resilient Cities, il programma C40 che si occupa della riduzione delle emissioni di carbonio e di programmi di adattamento per le città che partecipano.  Si tratta di un compito difficile da portare avanti, perché spesso gli amministratori pubblici non riescono a cogliere il collegamento del proprio operato con il cambiamento climatico, pensano che basti avere un funzionario della sostenibilità a cui affidare la tematica. 

Qual è l’errore che viene commesso più di frequente parlando di cambiamenti climatici? Quali sono le soluzioni?

Perché crediamo che le soluzioni ai cambiamenti climatici rappresentino una minaccia maggiore per noi rispetto agli impatti. Pensiamo che le soluzioni siano il non poter mangiare carne, non poter volare, rinunciare insomma alla vita così come la conosciamo. Pensiamo che le soluzioni siano negative e che gli impatti siano lontani, che influenzeranno i nostri nipoti o gli orsi polari o forse le persone che vivono nel Pacifico meridionale, ma non noi, qui e ora. È il contrario. Gli impatti sono qui oggi e stanno influenzando il modo in cui viviamo. E ci sono soluzioni positive e benefiche da mettere in campo, tra cui l’obbligo dell’insegnamento sui temi del cambiamento climatico promosso dall’Italia. C’è stato uno studio condotto nel North Carolina, uno stato molto conservatore e cattolico, i cui risultati sono stati pubblicati a maggio. Educando i bambini al cambiamento climatico, anche l’approccio genitoriale al tema è cambiato.

Lei sostiene che bisogna essere sinceri quando si parla di clima. Cosa intende?

Si tratta di arrivare al cuore delle persone. Spesso pensiamo che per preoccuparci dei cambiamenti climatici, si debba essere un certo tipo di persona, un ambientalista, qualcuno che vota in un certo modo o che vive in un determinato posto. Ma la realtà è che ci preoccupiamo di un clima che cambia perché influenza tutto ciò di cui già ci preoccupiamo. Ci preoccupiamo non perché dobbiamo cambiare chi siamo; ci preoccupiamo per ciò che siamo già. Non importa se si parli con pescatori, professori, cacciatori, sportivi, ma se siamo un essere umano che vive sul pianeta Terra, ci preoccupiamo dei cambiamenti climatici a causa di chi non siamo nonostante ciò che siamo. E penso che sia probabilmente il messaggio più importante.

Per approfondire:

  1. Uomo e natura: quando la riforestazione è ad alto impatto sociale.
  2. Riforestazione: non basta volerla.
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Team The Greenest

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